Luframilia: “Migliaia di Frammenti di Luce, il mio debut album, racchiude 14 tracce scritte negli ultimi dieci anni della mia vita”

Si intitola “Migliaia di Frammenti di Luce” l’album d’esordio solista di Luframilia, un disco frutto del lavoro di anni che ha visto finalmente il suo coronamento qualche settimana fa. Pur non essendo stato ideato come concept album, “Migliaia di Frammenti di Luce” è collegato da una sorta di filo conduttore che lo caratterizza come espressione di estremi: il contrasto fra buio e luce, staticità e movimento, paura e coraggio, rabbia ed amore. Questi apparenti dualismi, evidenti con il progredire delle tracce, vogliono in realtà evadere dall’estremismo e rappresentano semmai un tentativo di affrontare tutte le sfumature che esistono tra due poli opposti.

Ieri abbiamo avuto il piacere di scambiare quattro chiacchiere con l’artista; di seguito, quanto ci ha raccontato.

Luframilia – Intervista.

Ciao e grazie per questa chiacchierata! Il tuo primo album, “Migliaia di Frammenti di Luce”, è uscito da poche settimane. Raccontaci il processo annoso che ha portato alla sua creazione ed alla sua pubblicazione.

Ciao ragazzi, grazie a voi! “Migliaia di Frammenti di Luce” racchiude 14 tracce scritte negli ultimi dieci anni della mia vita. Ci è voluto molto tempo per arrivare a crederci sino in fondo e maturare la decisione di portare questi brani in studio e lavorarli, ma alla fine era quello che desideravo davvero fare, e l’ho fatto! Negli anni ho suonato e scritto per altri progetti e continuo a farlo ancora oggi. Anni fa suonavo in una cover band dei Green Day che però aveva anche iniziato a proporre live alcuni pezzi scritti da me. La band poi si è sciolta, ma mi è rimasta la voglia di continuare il percorso di songwriting iniziato in quel periodo. Ho vissuto dei veri e propri anni di incubazione, in cui scrivevo ogni tanto una nuova canzone, solo per me, nella mia stanza, di notte, al buio, con la chitarra acustica, e frettolosamente prima di andare a dormire la registravo nelle memo vocali del cellulare per evitare di dimenticarla. Oggi una parte di quelle canzoni suona dentro il mio primo album appena uscito, ed è davvero una forte emozione poter prendere atto di tutto questo. Circa un annetto fa infine sono entrato a far parte di The Boring Label, un’etichetta indipendente di Torino, con la quale abbiamo intrapreso una bella corrispondenza a distanza, e un percorso di pubblicazione di diversi singoli che hanno anticipato l’uscita di “Migliaia di Frammenti di Luce”.

Nel disco intraprendi un percorso interessante che va all’esplorazione di tutte le sfumature che intercorrono fra poli opposti come buio e luce, rabbia ed amore, staticità e movimento. Che tipo di concept avevi in mente scrivendo queste canzoni?

Sono sempre stato ispirato da atmosfere scure, buie, riflessive ed esistenziali, non propriamente felici, diciamo. Questo ha creato un vero e proprio contrasto nel mio modo di scrivere le canzoni, un continuo scontro di contraddizione, di indecisione, tra paura e coraggio, resistenza e lotta, accidia e volontà, tra sentimenti opposti. È stato un percorso inconscio, naturale, come una sorta di auto-psicanalisi, quella di aggrovigliarmi nelle sfumature che stanno in mezzo a questi sentimenti opposti, perché forse la verità sta sempre nel mezzo delle cose.

L’idea di raccontare le sfumature sembra particolarmente interessante, soprattutto nel mondo contemporaneo dove ogni cosa tende a essere vista “o tutta bianca o tutta nera”, un mondo di estremismi dove non c’è spazio per le vie di mezzo. È qualcosa a cui stavi pensando durante la fase di songwriting?

Effettivamente no! La cosa che mi ha sempre sorpreso dello scrivere canzoni è che spesso mi ritrovo a iniziare a comprenderne davvero il significato solo post scrittura. Prima lascio semplicemente fluire i pensieri, le idee, quindi no, non è qualcosa che avevo stabilito da prima, anche perché in realtà ho messo insieme canzoni scritte in diversi anni, in diversi momenti della mia vita. Il rischio quindi era che potessero suonare “scollate” tra di loro; invece nel momento in cui ho iniziato a modellare insieme il tutto, ho messo a fuoco questo “filo conduttore” di sfumature che legava le tracce, sia a livello concettuale, che sonoro. In fondo credo che le canzoni non siano qualcosa di fisso, un prodotto congelato nel tempo, ma che siano vive: è come se una volta scritte avessero una sorta di loro cloud vitale, e continuassero a insegnarci qualcosa e a farsi scoprire dai fruitori e anche dagli autori.

Non hai avuto paura di mettere in primo piano le chitarre in un mondo in cui le chitarre sembrano essere finite decisamente sullo sfondo. Pensi che sia una scelta coraggiosa o è semplicemente coerente con il tuo personaggio e con i tuoi ascolti?

Che la chitarra elettrica oggi non sia lo strumento più trendy è vero. E non critico nemmeno tanto la cosa: ogni generazione ha le sue peculiarità e un certo nichilismo. Anzi, sono sicuro che tante produzioni attuali tra synth e beat siano nate in una cameretta con una chitarra. Io mi sono semplicemente espresso con i mezzi che mi venivano più naturali, che provenivano dai miei ascolti musicali preferiti: ho sempre amato i power chords di chitarra potenti, e non credo che sia qualcosa di cui avere paura o coraggio nel 2020 se è quello che semplicemente ti piaceva fare. Io credo che se una canzone è bella, è bella; se ha una melodia che cattura le sinapsi e le emoziona, chitarra elettrica o computer che sia, potrà lo stesso arrivare al cuore di qualcuno.

Qual è la canzone, secondo te, più rappresentativa del disco? Quella che se uno non ha mai ascoltato qualcosa di tuo gli diresti di andare a sentire per farsi un’idea?

L’Eremita Postmoderno“. Non per nulla è stato il mio singolo di debutto nel 2019. Ancora prima di entrare in studio, ricordo che già sentivo che sarebbe stato il brano giusto con cui presentarmi e partire. Penso che, sia a livello concettuale che sonoro, riesca a riassumere in maniera molto soddisfacente quello che musicalmente mi è sempre piaciuto molto: chorus potenti ed emozionalmente trascinanti, suoni compatti, miscelati tra l’elettrico e l’acustico. Insomma per ora sicuramente è il mio biglietto da visita, ma proseguite l’ascolto, perché sull’album troverete anche altro!

C’è una canzone in particolare di cui vorremmo approfondire il significato, che è “Non Pulite Questo Sangue“. Ce ne parleresti più nel dettaglio?

È probabilmente il brano un po’ più “fuori dal coro” di tutto il disco. L’ho scritto dopo aver visto il film “Diaz – Don’t Clean Up This Blood”, incentrato sui fatti avvenuti durante il G8 di Genova nel 2001, in particolare la violenta irruzione della polizia nella scuola Diaz, che sfociò in aggressione e pestaggio contro gli attivisti e manifestanti che stavano pacificamente pernottando nel plesso scolastico. Avvenimenti che sono stati condannati come reati di tortura dalla Convenzione europea per la salvaguardia di diritti dell’uomo. All’epoca dei fatti ero solo un ragazzino e ricordo una gran confusione e tensione nei notiziari, ma dopo aver visto questo film, con scene molto forti, presi ben coscienza della vicenda, che mi sconvolse abbastanza, sino a portarmi a certe riflessioni, sull’inutilità della violenza, sull’immagine terrorizzante di chi dovrebbe tutelarci che diventa criminale, che sfociarono nella scrittura di questo brano. A distanza di qualche anno, oggi sento che questa canzone possa avere un messaggio ancora più grande, possa spingere a riflettere: guardo a episodi come quello recentissimo di George Floyd negli USA ed il movimento “Black Lives Matter”, o come il caso italiano di Stefano Cucchi e penso a come sia tutto brutalmente attuale purtroppo. Nelle strofe della canzone mi sono cimentato a cantare in un modo che non avevo mai fatto prima, e devo dire che registrare i backing vocals mi ha fatto perdere la voce per qualche giorno!

Luframilia è un progetto solista, ma è suonato come una full band. Come fai dal vivo?

Queste canzoni sono state scritte pensando di registrarle e suonarle effettivamente con una band di supporto. La maggior parte della mia musica preferita è suonata da band, e già suonavo la chitarra per altri gruppi già avviati. Ma negli anni mi sono reso conto dell’enorme difficoltà di mettere insieme diverse teste, e farle essere sempre costanti, con un medesimo obiettivo, tutti con uguale potere decisionale, e siccome mi trovavo davanti il progetto di un album di una misura abbastanza ambiziosa, non potevo permettermi di avere troppi rallentamenti, e ho deciso di fare quasi tutto da solo, con l’aiuto del mio ingegnere del suono, che ha anche registrato tutte le batterie del disco, e dell’amico Gianluca Costa che ha registrato il basso nella maggior parte dei brani; per il resto mi sono messo all’opera io. I brani dal vivo hanno però bisogno di una band completa, e ho avuto la fortuna di trovare dei musicisti che si stanno rendendo disponibili in questa impresa. L’anno scorso abbiamo fatto qualche piccolo concerto, adesso però siamo stati interrotti dalla pandemia, e spero non appena sarà possibile di riprendere le prove, e chissà, se le cose andranno meglio, di ritornare presto in nuove occasioni live.

Che obiettivi hai per questo disco a livello personale e musicale?

Direi che ho degli obiettivi mobili, cioè non delle vette fisse alte alte in cima, che una volta raggiunte che fai? Sì, bello, ti guardi il panorama, ma dopo? Semmai preferisco darmi obiettivi in evoluzione, che continuino a progredire, di cui si può anche prendere il timone, senza lasciare troppo in balia del caso. Registrare e pubblicare Migliaia di Frammenti di Luce era senz’altro un obiettivo, ma ora spero di promuoverlo al meglio delle mie possibilità, di farlo ascoltare a chi è interessato, a chi sarà incuriosito, di creare un dialogo, di suonarlo dal vivo, di praticare tutte le situazioni per me più adatte e anche quelle fuori luogo, di creare connessioni, contaminazioni…Insomma, il viaggio è appena iniziato!

 

Si ringraziano Luframilia e, come sempre, l’Ufficio Stampa Conza.

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