“Pastimes” è il nuovo album del duo itali-californiano Baseball Gregg

Pastimes are past times” scriveva James Joyce e, da qui, parte il duo italo-californiano Baseball Gregg che dopo tre EP ci regala finalmente il capitolo definitivo composto di atmosfere lo-fi, tinte pastello, ascendenti dai ruggenti anni Venti e tutto il loro animo internazionale.

“Pastimes” (Z Tapes e La Barberia Records) è il titolo del loro nuovo album che, per la prima volta, vede la band al completo.

Venti brani realizzati dopo l’arrivo di Sam in Italia, che spaziano tra atmosfere pacate e poghi estivi, linee di violoncello e un’anima più elettrica. “Pastimes” è una citazione del passo “Pastimes are past times” presente nel Finnegans Wake di James Joyce e la figlia di Joyce è raffigurata nei quattro artwork che accompagnano i lavori. Sam Regan ha reintepretato le foto che Berenice Abbott scattò a Lucia Joyce (all’epoca una stella della danza, poco prima della triste fine in manicomio dove verrà rinchiusa fino alla fine dei suoi giorni) nella Parigi dei ruggenti anni Venti.

I Baseball Gregg pubblicano un nuovo diario di venti brani scritti e prodotti in pochi mesi nella primavera bolognese del 2022, Pastimes: storie che vivono contemporaneamente nel passato – ripercorrendo la biografia e le opere del più grande scrittore in lingua inglese del Novecento – e capaci al contempo di proiettare la propria ombra nel presente, riverberando le angosce dell’oggi e spaziando in molteplici dimensioni di suono e di racconto. Un arco narrativo che si dipana tra episodi intimi e richiami storici e letterari, epifanie personali e momenti collettivi, in un affresco che risulterà necessariamente totalizzante e massimalista.

Se nella prima canzone del disco si preannuncia l’arrivo di “giorni migliori”, (Montese) nell’ultimo brano dell’album – al termine di un viaggio della durata di oltre un’ora – questi beaux jours si materializzano infine, concretizzandosi però in un mondo pacificato, privo di conflitto, che “ruota con o senza di me”. Le allegorie letterarie, dal già citato Joyce al Frankenstein di Shelley (Lake Geneva) e i piccoli episodi dell’intimità, gli skit registrati al parco con l’iPhone (luv 2 b) e brani arrangiati con decine di sovraincisioni di archi (Better Days): se gli opposti si attraggono, questo album abbraccia il paradosso e ne fa un suo polo di attrazione gravitazionale dal quale è impossibile non rimanerne rapiti.

L’opera sinora più ambiziosa del duo è il compendio di una poetica musicale frutto di otto anni di carriera. Una definitiva prova del virtuoso eclettismo del duo tra stili e registri differenti, in una cornice di brani quanto mai corale e multiforme che formano una galassia di antinomie senza sintesi possibili, tra le quali spicca anche il titolo scelto per il lavoro. Per un gruppo come i Baseball Gregg, infatti, che ha sempre rivendicato come propria cifra stilistica l’indipendenza, la musica intesa innanzitutto come “passatempo” e l’attitudine “do-it-together”, scegliere di intitolare “Pastimes” un’opera complessa e stratificata che non assomiglia per nulla ad un hobby è l’ennesimo dei contrasti di cui è permeato questo quarto disco della formazione bedroom-pop italo-californiana, un disco che aggiunge un ulteriore tassello al paziente successo sotterraneo maturato nel tempo, testimoniato da milioni di streaming online e partecipazioni a festival e rassegne in tre continenti.
D’altronde, come recita la citazione completa tratta dal Finnegans Wake di Joyce – vero e proprio nume tutelare dell’intera opera – “Pastimes are past times”, i passatempi sono i tempi passati.

Una salita in bicicletta in un afoso pomeriggio d’agosto (Montese). Una panchina al parco, ancora al suo posto a dieci anni da quel primo bacio (Nevertheless). Le luci della città, in lontananza, sembrano stelle nella notte (Cilantro Grass). E ancora, le poesie giovanili di James Joyce, la grazia innaturale delle pose plastiche di sua figlia danzatrice Lucia (Past Times) e il coraggio della prima editrice dell’Ulisse, un capolavoro che cent’anni or sono venne pubblicato da una giovanissima expat queer nella Parigi degli anni Venti (Sylvia Beach).
E mentre i nostri corpi – come piccole e densissime metropoli – brulicano di vita e di desideri (Holobiont), tra l’immateriale e il virtuale (OnlyFans), alcune schegge di passato increspano in superficie: un pomeriggio di gioco l’11 settembre 2001 (Olympic White) e le mattine d’estate degli anni Dieci alle prese con la fotofobia (irl). Gli echi del funerale di un amico che si è appena tolto la vita (Gone Deaf) risuonano in una polifonia dissonante con il pensiero intrusivo di mettere in pausa un’esistenza (Biology) in cui “tutti i modi per definire me stesso sono dipendenti dall’avidità” (I Don’t Wanna Wait and See): fotogrammi che vengono mano a mano inseriti in un distruggi-documenti per “spazzare via la polvere che eravamo” (Shred).

«Spesso ci diciamo, quando siamo nel momento del bisogno, che le cose “miglioreranno”. Può essere un processo lento e doloroso, ma alla fine il dolore che proviamo si attenuerà. È un’idea incoraggiante che fa nascere l’idea di oggi come un nuovo inizio, il punto di partenza per la nostra vita futura. A volte questo incoraggiamento funziona bene, ma solo se riusciamo a credere davvero che le cose miglioreranno.

Il nostro nuovo album Pastimes inizia con “Montese” e la dubbia promessa di un nuovo inizio: “Better Days, they lie ahead, as I lie on my bed: and all these lies, on my head, as always”. La promessa di un futuro migliore non è più credibile. È una bugia che raccontiamo a noi stessi. Pastimes è un gioco di contraddizioni: momenti di speranza seguiti immediatamente da momenti di disperazione. Grandi autori, registi famosi, letteratura classica e attori porno. Riff ad alta energia e intermezzi acustici. L’odio si fonde con l’amore, l’ambizione con l’umiltà, la verità con la menzogna. L’album si chiude con “Better Days”, che mantiene la promessa di “Montese”. La prima metà del brano vede Baseball Gregg riflettere sul passaggio del trentesimo compleanno, pieno di rimpianti per l’egoismo del passato. Nella coda di questa canzone finale, tuttavia, il gruppo trova finalmente conforto in queste contraddizioni crescenti, riconosce la bellezza tra melodia e contrappunto e adotta la prospettiva che noi stessi siamo una piccola parte della grandiosa sinfonia della natura» – Sam Regan

 

Si ringrazia come sempre l’Ufficio Stampa Conza.

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