MOCA: “Siamo sicuramente figli del nostro tempo e delle sue incertezze, ma non mancano i momenti in cui vorremo andare contro a certe tendenze della nostra generazione”

Senti odore di caffé fumante, di pane fresco fatta in casa, di tepore che scalda il cuore nella notte più lunga di tutte? Hai l’impressione, improvvisamente, di ricordare il tatto delle coperte in cui ti nascondevi da bambino, tra un tuono e l’altro? Avverti quel tremendo desiderio di ricordare da dove vieni e di risentire tra le dita la terra dei tuoi campetti di periferia, dei tuoi prati metropolitani? Va tutto bene: è solo colpa di “Un giorno intero“, il nuovo singolo dei MOCA, band di cui vi abbiamo parlato spesso nel corso degli ultimi mesi; un brano utile a ricordare, a chiunque se lo fosse dimenticato, la via di casa. Quella vera, di casa: che non è fatta di muri che rinchiudono, ma di porte che si aprono.

Ieri abbiamo avuto il piacere di intervistare la band; di seguito, quanto ci hanno raccontato.

MOCA – Intervista.

Ciao ragazzi, grazie per questa chiacchierata. Solo tre parole per raccontarci come state. Difficilissimo, ma crediamo in voi!

Ciao e grazie a voi! Carichi ma sereni.

Vi avevamo lasciato quest’estate con la pubblicazione di “Oplà“, prima parte di un disco doppio che vedrà la release del “Lato B” nel 2021. Com’è stato pubblicare il proprio disco d’esordio in piena pandemia? Che bilancio vi sentite di trarre da questi ultimi mesi?

Di sicuro un’esperienza fuori dalle aspettative, ma alla fine è pur sempre un’esperienza. Con questo disco abbiamo posto le basi del nostro progetto, da poco è iniziato un nuovo viaggio che ci porterà verso il secondo capitolo. Noi ci sentiamo lanciati.

Come nasce il progetto MOCA? E soprattutto, da cosa deriva il vostro nome d’arte?

L’eterogeneità, anche di idee, sta alla base del nostro gruppo e probabilmente a questa domanda ognuno di noi risponderebbe diversamente. Cercando di essere obbiettivi, si potrebbe dire che 2 anni e mezzo fa, 5 ragazzi che già si conoscevano, hanno deciso di creare un nuovo progetto. Per il nome poi sarebbe difficile rispondere, il nostro chitarrista l’ha sempre vista come un anagramma di Coma ed a noi piace pensarla come lui.

Relazionatore” è il brano che vi ha fatto conoscere al pubblico del pop, ma prima di allora avevate già all’attivo due singoli. Se doveste individuare il fil rouge che collega “Amira” ad “Un giorno intero”, il vostro ultimo singolo, quale sarebbe? Che cosa è cambiato, e soprattutto cosa è rimasto dal vostro esordio?

“Amira” è un pezzo a cui siamo tutti molto legati, è stato il nostro singolo d’esordio ed anche il nostro primo esperimento con quello che ai tempi per noi era un genere da esplorare. Ad oggi molto rimane inesplorato, ma possiamo dire di saperci muovere meglio all’interno di questo calderone musicale. Non siamo più quelli di “Amira”, od almeno, non siamo più quelli di quell'”Amira”, infatti abbiamo anche fatto uscire una nuova versione aggiornata alle nostre sonorità attuali. Quello che rimane e che non sparirà è la voglia di far ballare e saltare, quello sicuramente rimarrà.

Parliamo di “Un giorno intero”. Ascoltando i vostri pezzi, il richiamo al “sonno” e ad una certa visione quasi pessimistica dell’esistenza (nonostante la patina deliziosamente gioviale dei vostri brani) sembrano essere tematiche ricorrenti. Alcune canzoni sembrano affrontare apertamente il tema della depressione, dell’apatia e di altri aspetti che raramente trovano espressione nel pop. Vorrei che commentaste questo mio pensiero in merito alla vostra poetica e, nello specifico, parlaste di “Un giorno intero” e del messaggio che sembra scaturire evidentemente dal brano.

Si, più che di una visione pessimistica, potrebbe essere meglio parlare di temi che normalmente si trattano poco e nel modo sbagliato. Nel nostro primo album sono molti i brani legati a tematiche, basti pensare a “Relazionatore“, “Soffritto di Sertralina“, “Astenopia“; quello che noi sentiamo diverso, con questo ultimo singolo è l’approccio di chi racconta la storia e quindi il nostro. “Un giorno intero” inizia il percorso che porterà al completamento di “Oplà Vol II”, ma qui la tematica del sonno, o forse sarebbe meglio dire del letto, subisce un’inversione che è proprio il segnale di un nuovo percorso che inizia. Se prima al serpente “Relazionatore” si guardava con una rassegnata amicizia, in “Un giorno intero”, l’immobilità non diventa più una giustificazione.

Quanto può essere terapeutica la musica? E quanta – passatemi il termine – identità generazionale c’è nel disagio che la vostra musica talvolta racconta? Trovo che alcuni dei vostri brani siano davvero fotografie di una generazione con perenni “postumi da sbronza”, nel senso più metaforico e disorientante del termine.

Siamo sicuramente figli del nostro tempo e delle sue incertezze, però se per molti versi ci sentiamo realmente immersi in una realtà, non mancano i momenti in cui vorremo andare contro a certe tendenze della nostra generazione. “La paura non è freno mai” è una frase estratta dall’ultimo singolo ed esprime bene questo concetto, vorremmo che potesse diventare uno sprono per tutti quelli che ci ascoltano e come noi condividono i sentimenti di un tempo. La musica per fortuna riesce a darci un modo per esprimere pensieri come questo e a volte anche nemmeno immaginati.

Avete mai pensato di fare un featuring con qualche artista della scena di oggi?

Scegliere adeguatamente un partner in crime non è cosa semplice. Abbiamo qualcosa per la testa, ma forse è ancora troppo presto per parlarne, ne riparliamo tra qualche mese!

Salutateci a vostro piacere ed augurateci Buon Natale alla MOCA!

Ciao a tutti ragazzi e grazie per aver letto fino in fondo, vi auguriamo Buone Feste e buone sbronze a piccoli gruppi di congiunti!

 

Si ringraziano i MOCA e, come sempre, l’Ufficio Stampa 19 Media Agency.

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